Trivulzio
Soggetto prediletto di non poche opere elegiache, celebrative e compilative, la famiglia Trivulzio, protagonista della storia di Milano, della Lombardia, d’Italia e d’Europa, non dispone tuttavia di una storiografia accertata, compilata con criteri moderni e in base alle fonti. Marino Viganò nel suo saggio introduttivo a Stemmi e imprese di Casa Trivulzio ha ricostruito la genealogia del cumulo imponente di dicerie e tradizioni non verificate, che ha celebrato per secoli il casato e segnalato, quali opere di riferimento fondate sull’analisi di documenti d’archivio e pubblicazioni a stampa, i manoscritti di Raffaele Fagnani, Principium Historiæ Triuultior[um], del 1648, e di Pio Muzio, Trivultiorum Stemma, origo, et res gestæ, noto come Historia Trivultia, databile alla seconda metà del XVII secolo. A essi sono largamente debitori Carlo Rosmini, autore di una biografia in due tomi di Gian Giacomo Trivulzio il Magno (1815), Pompeo Litta, che, in Famiglie celebri italiane (1820), pubblica quattro ricche tavole genealogiche sui Trivulzio, corredate da bibliografia, Leone Tettoni e Francesco Saladini, per il Teatro araldico (1843). Obiettivo di questa introduzione non è, quindi, offrire un ampio affresco di storia famigliare, impossibile allo stato attuale degli studi, ma piuttosto quello, più modesto, di tratteggiare le biografie dei più significativi esponenti del casato Trivulzio, le cui gesta hanno contribuito alla fortuna della stirpe e le cui tracce rintracciamo oggi in documenti dell’Archivio di famiglia.
Gli autori concordano nel fissare la presenza in Lombardia dei Trivulzio a partire forse dal X-XI secolo, e di certo dal XII. Nel 1277 l’arcivescovo Ottone Visconti cita 200 famiglie patrizie i cui membri possono venir creati canonici regolari della Chiesa metropolitana: i Trivulzio sono tra queste. La famiglia risulta, da documenti e cronache, protagonista delle vicende politiche e militari della città, i suoi membri sono molto attivi nella politica milanese e dall’inizio del XV secolo sono uniti al duca da un forte vincolo di omaggio feudale. Stringono alleanze matrimoniali coi casati più potenti e costituiscono «un gruppo numeroso, bene inserito nell’aristocrazia milanese e lombarda». Eleggono a residenza l’area tra San Nazaro in Brolo e Sant’Eufemia, e della contrada di porta Romana fanno il perno del loro centro d’influsso politico. Fin dal XV secolo dal ceppo principale si staccano svariati rami: i signori di Codogno, i signori di Casteltedone (estinto nel 1549), il ramo di Borgomanero, Porlezza e Bojano (estinto nel 1549), il ramo dei marchesi di Pizzighettone (estinto nel 1531), il ramo dei signori di Formigara (estinto nel 1543), il ramo dei conti di Melzo (estinto nel 1622), il ramo dei marchesi di Vigevano e conti di Mesocco e val di Reno (estinto nel 1673), il ramo dei conti di Melzo, principi dell’Impero e di Mesocco (estinto nel 1678), e infine il ramo dei marchesi di Sesto Ulteriano.
A inizio XV secolo Giovanni Trivulzio, scomparso nel 1423, appartiene al Consiglio generale dei Decurioni di Milano. Il primogenito, Antonio, intraprende la carriera militare e, al servizio del duca Filippo Maria Visconti, partecipa come condottiere alla guerra contro Venezia: commissario ducale a Crema nel 1441-’42, passa ad Ancona sotto il comando di Francesco Sforza. Alla morte di Filippo Maria Visconti nel 1447, è tra i promotori della Repubblica ambrosiana, membro del Magistrato dei dieci, con competenza sulla pace e la guerra, e nel 1449 viene eletto luogotenente di Carlo Gonzaga, capitano del Popolo. Tra i fazionari che si fronteggiano sceglie Francesco Sforza, il quale, accolto duca di Milano nel 1450, lo include nel Consiglio ducale. Scompare nel 1454. Dal matrimonio di Antonio con Franceschina di Domenico Aicardi Visconti nascono Gian Fermo, Gian Giacomo e Nicolò Rainero detto Renato.
Gian Giacomo vede la luce a Crema il 24 giugno 1442. Educato alle armi nel seguito di Francesco I Sforza, contubernale del figlio Galeazzo Maria, partecipa alla spedizione contro Genova ribelle al re di Francia nel 1461 e a quella contro i baroni insorti contro Luigi XI di Francia nel 1465-’66, dove mostra particolare valore e abilità, e quello stesso 1466 sposa Margherita di Nicolino Colleoni, poi deceduta nel 1483: avranno sei figli, unico superstite Gian Nicolò nato nel 1479. Succeduto al trono Galeazzo Maria nel 1466, lo fiancheggia in varie imprese, fra le quali spicca quella contro Venezia del 1467. Portatosi in pellegrinaggio a Gerusalemme nel 1476, dopo l’assassinio di Galeazzo Maria, di cui è consigliere, nel 1477 è accolto nel Consiglio di reggenza del ducato, alla cui guida è Bona di Savoia, vedova del duca, riceve il comando della compagnia di «lance spezzate» a protezione del principe ed è infeudato di Vespolate, nel Novarese. Da Firenze, dov’è nel 1478 a sedare la congiura dei Pazzi ai danni della famiglia de’ Medici, viene presto richiamato a Milano dove i fratelli Sforza, zii del giovanissimo duca Gian Galeazzo Maria, si sono ribellati alla reggenza. Nel 1480 acquista da Enrico de Sacco la signoria della val Mesolcina, feudo imperiale, che gli conferisce una posizione politica ed economica di rilievo di intermediario tra il duca di Milano e le Leghe retiche. Al servizio di Ludovico Maria Sforza il Moro – riammesso a Milano dalla duchessa vedova e giunto dunque al potere –, cui bene o male deve allinearsi, nel 1482 batte i ribelli parmensi Rossi di San Secondo e partecipa alla guerra di Ferrara – o «del Sale» – contro Venezia, chiusa dalla pace di Bagnolo, da lui trattata nel 1484. Inviato in soccorso di Ferdinando I de Trastámara, re di Napoli, contro la congiura dei baroni, nel 1486, è investito della contea di Belcastro e creato da Alfonso, duca di Calabria, suo primogenito, governatore generale delle genti d’armi e nello stesso 1487 sposa Beatrice de Avalos, figlia di Íñigo I, conte di Monteodorisio, gran camerlengo (primo ministro) del regno, e d’Antonella d’Aquino. Sconfigge poi per papa Innocenzo VIII il tiranno Boccolino di Gozzone, impadronitosi di Osimo. Per rafforzarsi, acquista nel 1493 nel territorio delle Leghe retiche la val di Reno superiore (Rheinwald) e la valle Stossavia (Safiental), consolidandovi la posizione e accrescendone le difese. Allorché il re Carlo VIII si prepara nel 1494 a calare nel Napoletano, che rivendica, è governatore delle genti d’armi d’Abruzzo, ma entrati i francesi a Napoli intavola trattative – pare autorizzate da Ferdinando II – e a Capua passa al servizio di Francia, ottenendo da Carlo VIII i titoli di consigliere e ciambellano, portandolo in salvo con la vittoria di Fornovo (6 luglio 1495), ove si batte con valore e astuzia assieme al figlio Gian Nicolò. Nominato governatore di Asti, barone di Château-du-Loir e cavaliere di Saint-Michel, entrato in alleanza di mutua difesa con la Lega grigia nel 1496, bandito e confiscato dal Moro nel 1497, conduce l’esercito vittorioso del successore, Luigi XII, a Milano nel 1499. Creato marchese di Vigevano e Melzo, maresciallo di Francia, luogotenente nel Milanese, ne è governatore per sei mesi, con a fianco Gian Nicolò, insignito da lui del titolo di conte di Mesocco, quindi portato dal primogenito di famiglia, come d’uso nei casati principeschi. Mobilitato contro le truppe elvetiche calate in Lombardia nel 1501 e 1503, comanda nel 1508 l’esercito francese inviato a Trento contro Massimiliano I, re dei Romani, e nel 1509 batte i veneziani a Agnadello. Padrino in Francia nel 1510 di Renée, secondogenita del re, espulso coi francesi da Milano nel 1512 dalla Lega santa di papa Giulio II, acquisce la cittadinanza del Cantone Lucerna, ma dagli svizzeri è battuto a Novara nel tentativo di reinsediare i francesi in Lombardia nel 1513. Subito prepara nel Delfinato la rivincita: creato dal nuovo re, Francesco I, governatore di Lione e capo della spedizione vittoriosa sugli svizzeri a Marignano (13-14 settembre 1515), osteggiato negli ultimi anni da «uomini nuovi» della corte, passato in Francia a un colloquio chiarificatore col re per la nuova alleanza stretta con i Cantoni elvetici e aver acquisito la cittadinanza del Cantone Uri, si spegne a Chartres il 5 dicembre 1518. Erede è il nipote Gian Francesco, nato nel 1509, figlio di Gian Nicolò, scomparso nel 1512, e di Paola Gonzaga, il quale, espulso Francesco I dagli spagnoli nel 1521, è sua volta confiscato nei beni, a lui restituiti da Francesco II Sforza e, dopo la pace di Cambrai del 1529, confermati da Carlo V, re dei Romani. Presente a Bologna nel 1530 all’incoronazione di costui, posto al comando di 100 cavalieri, accusato di tramare contro il duca di Milano, è condannato a morte nel 1533. Colonnello sotto Carlo V, serve con distinzione nella campagna del 1536 sicché l’imperatore stesso lo emenda dalla condanna per l’uccisione di Ottavio Bignami, suo procuratore. Incapace di eguagliare in fama e potenza il celebre avo, Gian Francesco si riduce a vivere di protezione imperiale e salvacondotti e a svendere la val Mesolcina nel 1549. Generale della cavalleria pontificia ad Avignone nel 1571, si spegne a Mantova nel 1573.
Altro protagonista di eventi non solo famigliari è Gian Giacomo Teodoro Trivulzio, figlio di Carlo Emanuele Teodoro e di Caterina Gonzaga, conte di Melzo, principe dell’Impero e di Mesocco, nato nel 1597. Entrato al servizio di Filippo III, re di Spagna, con due compagnie di cavalli, commissario imperiale per Ferdinando II d’Austria presso i principi italiani per sollecitare soccorsi contro i turchi nella guerra d’Ungheria del 1619, ottiene il titolo di principe, il trattamento di «illustre» di Spagna e la cittadinanza dell’Impero. Dopo la morte, nel 1620, della moglie Giovanna Grimaldi di Monaco, si dà alla vita ecclesiastica nel 1625: chierico di camera e protonotario apostolico è creato cardinale del titolo di San Cesareo in Palatio nel 1629, mutato in Sant’Angelo in Pescheria nel 1644. Tornato a Milano, è nominato governatore generale delle milizie del ducato nel 1638 nonché soprintendente alle fortezze nel 1639, quindi gobernador de armas, col privilegio di rispondere al solo governatore. Vicerè e capitano generale del regno d’Aragona nel 1642, riceve il rango di «grande di Spagna», col privilegio – al pari degli aristocratici di Castiglia – di servire il sovrano in tutti i domini della corona quale rappresentante dell’autorità centrale di Madrid. Ambasciatore a Roma, nel 1644 partecipa al conclave che elegge Innocenzo X, durante i moti di Sicilia del 1647 è inviato presidente del regno e capitano generale, col compito, assolto con successo, di ristabilire l’ordine. Vicerè di Sardegna dal 1649, ambasciatore di Spagna a Roma nel 1653-’54, nominato governatore e capitano generale del ducato di Milano nel 1655 – unico tra i concittadini cui la corona mai assegnerà il titolo – scompare d’improvviso a Pavia nel 1656.
Il nipote Antonio Teodoro Trivulzio, morto a 29 anni senza prole nel 1678, lascia le sue sostanze al cugino Gaetano, figlio dei tutori, la zia Ottavia Trivulzio e il marito Tolomeo Gallio, duca d’Alvito, purché assuma il nome del benefattore. Figlio di Antonio Teodoro Gaetano e di Maria Borromeo è Antonio Tolomeo Gallio Trivulzio, erede del titolo di principe del Sacro romano impero e di valle Mesolcina, vassallo imperiale per i feudi di Retegno e Bettola: è lui a destinare per testamento, nel 1766, il cospicuo patrimonio famigliare a erigere in Milano, nel palazzo di via della Signora, il Pio Albergo Trivulzio, per l’accoglienza e l’assistenza dei poveri, fondato nel 1767 e che apre i battenti ai primi 100 ricoverati nel 1771.
Il casato Trivulzio seguita comunque nel ramo dei marchesi di Sesto Ulteriano – discendenti diretti di Gian Fermo, fratello maggiore di Gian Giacomo il Magno –, le cui vicende restano connesse a quella del Museo Trivulzio e alla Biblioteca Trivulziana. La collezione ha origini antiche, risalendo almeno alla metà del XV secolo: molte le opere appartenute allo stesso Gian Giacomo Trivulzio il Magno, il cui stemma è presente su vari manoscritti, tra cui il Trivulziano 2.154, gli Hieroglyphica dell’Orapollo nella traduzione latina di Giorgio Valla, dedicata, è probabile nel 1508, al condottiere dal figlio, Giovan Pietro Valla.
Ma artefici delle grandi raccolte sono a metà del XVIII secolo i fratelli Alessandro Teodoro e Carlo Trivulzio, figli di Giorgio Teodoro (1656-1719) e di Elena Arese (1676-1715). Alessandro Teodoro (1694-1763), personalità di grande spessore intellettuale, partecipa alla vita culturale contribuendo tra l’altro a fondare la Società Palatina: gli si deve l’acquisto d’un ricco lotto di preziosi codici della biblioteca della Fabbrica del Duomo, tra i quali si annoverano volumi dalle collezioni private di illustri umanisti quattrocenteschi.
Carlo Trivulzio (1715-1789) dedica la vita al collezionismo non solo di manoscritti e libri, ma pure di biglietti da visita, monete, medaglie, porcellane, avori, che affluiscono nel Museo. Degna di nota la raccolta di autografi, tra i quali spiccano lettere di san Carlo Borromeo. Volge i propri interessi in particolare ai codici liturgici, ma si appassiona anche di letteratura in volgare delle origini. Grande l’attenzione per la produzione a stampa italiana e straniera con, tra i fortunati acquisti, il De officiis di Cicerone, tirato a Magonza nel 1465 da Fust e Schöffer, protagonisti con Gutenberg della nascita dell’arte tipografica germanica. Gli si deve inoltre l’acquisto, circa il 1750, di un celebre codicetto d’appunti di Leonardo da Vinci.
Le collezioni di Carlo e Alessandro Teodoro vengono ereditate dal figlio di costui, Giorgio Teodoro Trivulzio (1728-1802), che riunisce per qualche anno l’intera biblioteca di famiglia nel palazzo di piazza Sant’Alessandro, in precedenza di proprietà dei Corio Figliodoni Visconti. Alla sua morte, il patrimonio è ereditato da Alessandro, morto nel 1805 senza discendenza. La collezione viene quindi di nuovo divisa tra gli altri due figli di Giorgio Teodoro: Gian Giacomo e Gerolamo Trivulzio. Nel 1816 l’abate Pietro Mazzucchelli formalizza la divisione dei beni: il patrimonio librario è ripartito in due lotti identici di 724 manoscritti ciascuno. L’eredità di Gerolamo, scomparso nel 1812, passa alla figlia Cristina Trivulzio, sposatasi nel 1824 con Emilio Belgioioso e protagonista indiscussa del secondo Risorgimento italiano.
La storia della collezione prosegue con Gian Giacomo IV Trivulzio (1774-1831), che amplia le raccolte di famiglia mediante capillare campagna d’acquisti. Il marchese, accademico della Crusca, amico di Vincenzo Monti, privilegia l’acquisizione di testi, manoscritti e a stampa, della letteratura italiana delle origini – in particolare Dante e Petrarca – inaugurando i fondi dantesco e petrarchesco. Eredi sono i figli Giorgio Teodoro (1803-1856), che nel 1831 sposa Marianna Rinuccini, e Rosina (1800-1859), moglie di Giuseppe Poldi Pezzoli e madre di Gian Giacomo, che condivide col nonno il gusto per il collezionismo e destina i propri beni alla creazione della casa museo Poldi Pezzoli. A Giorgio Teodoro succede il figlio Gian Giacomo (1839-1902), sottotenente nella Seconda guerra di indipendenza (1859), tenente durante la Terza (1866), principe di Mesocco dal 1885 e senatore del regno dal 1896. Gli si deve l’ulteriore incremento dei fondi dantesco e petrarchesco: nel 1864 sposa Giulia Amalia Barbiano di Belgioioso, che gli porta in dote ben 634 manoscritti, antichi e preziosi. Gian Giacomo è il primo ad aprir le porte della raccolta agli studiosi: nomina bibliotecario il cugino Giulio Porro, autore del primo inventario della collezione, cui seguono Carlo Ermes Visconti e lo svizzero-ticinese Emilio Motta.
Luigi Alberico (1868-1938), giglio di Gian Giacomo, si occupa con passione della Trivulziana e ne completa le raccolte, cercando di rientrare in possesso di alcuni codici, alienati nel XIX secolo. Nel febbraio 1935 tratta invece la vendita delle raccolte d’arte e della biblioteca di famiglia col podestà di Torino, sollevando peraltro nell’opinione pubblica milanese una reazione tale che il podestà di Milano, Marcello Visconti di Modrone, promuove l’acquisto dell’intero patrimonio al comune. La collezione viene destinata alle Civiche Raccolte d’Arte, la Biblioteca Trivulzio è invece annessa al preesistente Archivio storico civico.
[Elena Puccinelli, Marino Viganò]
Indice
Genealogia
Teatro genealogico delle famiglie nobili milanesi: manoscritti 11500 e 11501 della Biblioteca Nacional di Madrid, a cura di Cinzia CREMONINI, Mantova: Gianluigi Arcari, 2003
Stemmi
ARMA: Palato d’oro e di verde.
Alias: D’oro, alla testa di tre volti al naturale, coronata di una corona marchionale francese, del campo.
Alias: Partito di due linee: nel 1° troncato di tre linee: a) d’oro, alla testa di tre volti al naturale, coronata di una corona marchionale francese, del campo e sormontata da un cartello di arg. col motto: Mens unica di nero; b) di rosso, alla croce di S. Andrea d’argento, caricata di cinque ruote di S. Caterina di rosso; c) d’azzurro, alla palma (o quercia) d’oro; d) di rosso, all’idra di verde; nel 2° troncato di due linee: a), di cielo al naturale, alla B. Vergine inginocchiata a sinistra vestita di rosso e ammantata d’azzurro adorante un bambino ignudo disteso sulla pianura erbosa, sormontata da un cartello d’argento col motto: Quem genuit adorat, di nero; b) formante scudetto sul tutto incoronato dalla corona marchionale francese di oro, palato d’oro e di verde; c) fasciato di cinque pezzi di rosso, d’azzurro, di verde, di rosso e d’argento; a due fasce innestate d’argento attraversanti fra la prima e seconda fascia e fra la terza e la quarta; nel 3° troncato di tre linee: a) d’argento, ad una ruota di S. Caterina di rosso; b) di verde, al fascio di spighe d’oro legato dello stesso; c) trinciato di rosso e di verde, alla banda d’argento caricata di tre ruote di S. Caterina di rosso poste nel verso della banda attraversante sulla trinciatura; d) d’oro, alla fascia d’argento caricata di due crocette di rosso e di una rosa dello stesso fra le crocette. (Per Decreto del Tribunale Araldico di Milano 8 agosto 1770, i tre stemmi suindicati sono delineati nel Codice Araldico Lombardo, pag. 28-29).
CIMIERO: Una testa di re barbuta e coronata d’oro con tre volti.
Alias: Una sirena alata al naturale, tenente nella sinistra un anello d’oro, nella destra un ramo di palma dello stesso.
MOTTO: Ne te smay.
Ramo dei conti di Pertusate
ARMA: Palato d’oro e di verde.
CIMIERO: Una testa di re barbuta e coronata d’oro con tre volti.
MOTTO: Mens unica.
TRIVULZÌO MANZONI CACCIA
ARMA: Palato d’oro e di verde.
CIMIERO: Una testa di re barbuta e coronata d’oro con tre volti.
Storia
Personaggi
Dimore
Milano
Sepolture
Iconografia
Dipinti e Ritratti
Archivio fotografico
Fonti
Bibliografia
Trivulzio, in Leone Tettoni e Francesco Saladini, Teatro araldico ovvero raccolta generale delle armi ed insegne gentilizie delle più illustri e nobili casate che esisterono un tempo e che tuttora fioriscono in tutta l’Italia illustrate con relative genealogico-storiche nozioni da L. Tettoni e F. Saladini - Volume secondo, pei tipi di Cl. Wilmant e Figli successori a Gio. Battista Orcesi, Lodi MDCCCXLIII, s.i.p.
Carlo Rosmini, Dell’istoria intorno alle militari imprese e alla vita di Gian-Jacopo Trivulzio detto il Magno tratta in gran parte da’ monumenti inediti che conferiscono eziandio ad illustrar le vicende di Milano e d’Italia di que’ tempi libri XV Del Cavaliere Carlo de’ Rosmini Roveretano volume primo, Dalla Tipografia di Gio. Giuseppe Destefanis, Milano 1815
Carlo Rosmini, Dell’istoria intorno alle militari imprese e alla vita di Gian-Jacopo Trivulzio detto il Magno tratta in gran parte da’ monumenti inediti che conferiscono eziandio ad illustrar le vicende di Milano e d’Italia di que’ tempi libri XV Del Cavaliere Carlo de’ Rosmini Roveretano volume secondo che contiene i documenti inediti, Dalla Tipografia di Gio. Giuseppe Destefanis, Milano 1815
Trivulzio di Milano, in Pompeo Litta, Famiglie celebri italiane, Stamperia Giusti, Milano 1820, vol. VII, s.i.p., tavv. «Trivulzio I-IV»
Gian Giacomo Trivulzio marchese di Vigevano e il governo francese in Lombardia (1499-1518), in Letizia Arcangeli, Gentiluomini di Lombardia. Ricerche sull’aristocrazia padana nel Rinascimento, Unicopli, Milano 2003, pp. 3-70
Lavinia Galli, Annalisa Zanni (a cura di), Gian Giacomo Poldi Pezzoli. L’uomo e il collezionista del Risorgimento, Allemandi, Torino 2011
Alessandra Squizzato, I Trivulzio e le arti. Vicende seicentesche, Scalpendi editore, Milano 2013
I Trivulzio: casato, iconologia, memoria, in Stemmi e imprese di Casa Trivulzio edizione del Codice Trivulziano 2.120, a cura di Marino Viganò, blasonature a cura di Carlo Maspoli, Edizioni Orsini De Marzo-Sankt Moritz Press/Milano, Fondazione Trivulzio, St. Moritz 2012
Giovan Giorgio Albriono - Giovan Antonio Rebucco, Vita del Magno Trivulzio - dai Codici Trivulziani 2076, 2077, 2134, 2136, a cura di Marino Viganò, Fondazione Trivulzio, Milano/SEB Società Editrice SA, Chiasso 2013
Anonimo del Quattrocento, Gian Giacomo Trivulzio. La vita giovanile 1442-1483 - dal Codice Trivulziano 2075, a cura di Marino Viganò, Fondazione Trivulzio, Milano/SEB Società Editrice SA, Chiasso 2013
Arcangelo Madrignano, Le imprese dell’illustrissimo Gian Giacomo Trivulzio il Magno - dai Codici Trivulziani 2076, 2079, 2124, a cura di Marino Viganò, Fondazione Trivulzio, Milano/SEB Società Editrice SA, Chiasso 2014
Vittorio Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano, 1928-32, vol. VI, pp. 719-724:
Celebre famiglia milanese. Il Litta (Famiglie celebri Italiane, Milano, Giusti, 1820, fam. Trivulzio) ricorda un REGIFREDO D’INGONE DA TRIVULZIO, che professava legge longobarda, menzionato in un documento dell’anno 941 riportato nel Codex diplomaticus Langobardiae, n. 558, col. 051: «Ragifredus subdiaconus, filius bone memorie Ingoni de vico Treburcio, qui professo sum lege vivere Langobardorum».
Nel 1011 viveva un INGONE D’INGELRAMO professante la stessa legge longobarda. Il Litta crede che questi siano i veri ascendenti della famiglia. Comunque, essa figura già nella Matricula Nobilium Familiarum rogata de anno 1277 d’ordine di Ottone Visconti e pubblicata dal Giulini (Memorie spettanti alla città e campagna di Milano ne’ secoli bassi, II ed., Milano, 1855, vol. IV, p. 644-46). La figura più importante di tale famiglia è il famoso maresciallo di Francia GIAN GIACOMO, che Luigi XII compensò col marchesato di Vigevano, col feudo di Melzo e con la carica di governatore del ducato di Milano. Come scrisse il Calvi (Il Patriziato Milanese, Milano, 1865, p. 111), la discendenza dal magno Trivulzio si estinse con l’abbiatico GIAN FRANCESCO (1572); ma quella di GIANFERMO, fratello di Gian Giacomo, continuò ancora, per poco più di un secolo, e diede GIAN GIACOMO TEODORO, cardinale nel 1629, viceré d’Aragona, ambasciatore a Roma per il conclave, dal quale fu eletto Alessandro X, capitan generale del regno di Sicilia ai tempi della rivoluzione di Masaniello, viceré di Sardegna ed infine governatore del ducato di Milano, grande di Spagna, principe dello Stato di Mesocco e della Mesolcina. Estintasi nel 1678 anche la linea di Gian Fermo in persona di ANTONIO, di ERCOLE TEODORO, quest’ultimo figlio del cardinale Gian Giacomo Teodoro, i feudi furono tutti devoluti alla R. Camera. Antonio potè disporre, soltanto del feudo imperiale di Retegno che lasciò al cugino GAETANO, secondogenito di Ottavia, sua zia paterna, e di Teodoro Gallio, duca d’Alvito, al quale impose l’obbligo di assumere il cognome Trivulzio. Ciò non valse a dar nuova vita alla famiglia e Antonio, di Gaetano, si spense senza discendenti, lasciando la sua fortuna al ricovero dei vecchi che porta in Milano il nome suo. Il ramo superstite, quello dei marchesi di Sesto Ulteriano, nel quale passò l’obbligo di perpetuare le nobilissime tradizioni familiari, ravvivò con infinito amore le memorie della famiglia consanguinea. «CARLO, raccoglitore diligente di cimeli e il fratello ALESSANDRO TEODORO, cultore oltre ogni dire appassionato di studi storici e bibliografici, furono i fondatori di quella biblioteca e di quel museo che è una delle meraviglie di Milano, centro irradiante di luce e di civiltà» (Calvi, op cit., p. 112). Il predetto ramo dei marchesi di Sesto Ulteriano ebbe origine da GEROLAMO TEODORO, ultrogenito di Gianfermo, di Antonio, di Giangiacomo e di Antonia Fagnani. Gerolamo Teodoro sposò Antonia Barbiano di Belgioioso, dalla quale, tra gli altri, ebbe il figlio GIANGIACOMO TEODORO, che nel 1573, seguì, in qualità di colonnello, don Giovanni d’Austria all’impresa di Tunisi e morì nel 1577 nel suo feudo di Melzo, ove nel 1569 aveva fondato un tempio dedicato alla Vergine e un convento di Cappuccini. Sposò in prime nozze Laura Gonzaga, figlia del principe Sigismondo e in seconde nozze Ottavia Marliani del presidente Pietro Antonio. Dalla prima consorte ebbe, tra gli altri, il figlio PAOLO ALESSANDRO, morto nel 1589, che fu marito prima di Anna Alciati, di Giorgio, e poi di Sulpizia della Torre di Rezzonico. A GIORGIO, figlio di Paolo Alessandro, decurione della città di Milano (1633) e giudice delle strade (1641), devesi l’acquisto del feudo di Sesto Ulteriano e Cologno dalla R. Camera di Milano (istr. 26 settembre 1647 a rogito del notaio camerale Francesco Mercantalo), sul quale, con diploma 27 marzo 1655 del re Filippo IV, ottenne il titolo di marchese (mpr.). Da Gabriella de’ Lazzari, di Michelangelo, da Vigevano, il predetto Giorgio ebbe, secondo il Litta, otto figli, tra i quali ALESSANDRO TEODORO, che il 19 aprile 1656 fu eletto decurione di Milano e nel 1665 giudice delle strade. Da Brigida Secco, figlia del conte Alessandro, sua prima consorte (la seconda fu Violante, del conte Lodovico Visconti), Alessandro Teodoro ebbe quattro femmine e due maschi. Questi furono: GIORGIO TEODORO e ANTONIO.
Antonio nel 1695 fu ammesso cavaliere di giustizia nell’Ordine di Malta; Giorgio Teodoro, eletto dei LX decurioni il 7 aprile 1686 e giudice delle strade nel 1700, nel 1708 con nobile comitiva andò a Brescia ad ossequiare, in nome della città di Milano, la principessa Elisabetta Cristina di Wolfenbuttel diretta a Barcellona per unirsi al re Carlo III suo sposo. Con istrumento 7 dicembre 1698, rogato dal notaio camerale Francesco Vallotta, Giorgio Teodoro prese possesso formale della signoria di Palasio, Prata e Terra Verde e sue pertinenze, essendosi a suo favore verificato il caso della successione per la morte del principe Antonio Trivulzio. Lo stesso marchese Giorgio Teodoro prestò giuramento di fedeltà come marchese e feudatario di Sesto Ulteriano e Cologno, a Filippo V re di Spagna e duca di Milano (istr. 24 settembre 1701, rogato dal segretario di governo Gio. Antonio Serpenti). Anche Giorgio Teodoro ebbe due mogli: Elena Arese del conte Marco († 1715) e Paola Pertusati del conte Luca, presidente del Senato di Milano, vedova del conte Luigi Melzi. Dalla prima consorte ebbe quell’ALESSANDRO TEODORO, che fu lodato dal Muratori, dal Sassi, dal Gori e dal Ferrari e al quale devesi la magnifica biblioteca della famiglia. Suo fratello CARLO, archeologo insigne, raccolse molti codici ed un museo di antichità e di numismatica antica e moderna.
Da Alessandro Teodoro e da sua moglie Margherita del conte Carlo Pertusati, presidente del Senato, nacquero dieci figli, tra i quali GIORGIO TEODORO, ciambellano dell’imperatore d’Austria e marito di Cristina del conte Carlo Cicogna, morto nel 1802. Con decreto 8 agosto 1770, l’I. R. Tribunale Araldico, ad istanza del predetto marchese Giorgio Teodoro a nome anche dei suoi fratelli GIACOMO e GEROLAMO e degli zii FRANCESCO ANTONIO e CARLO, ordinò che nel Codice Araldico fosse delineata nella triplice forma, che si premette, l’arma gentilizia dei postulanti, riservando la corona marchionale al solo primogenito Giorgio Teodoro. Questi ebbe tre figli maschi, cioè GIANGIACOMO, ALESSANDRO e GEROLAMO.
Il primogenito Giangiacomo fu membro del collegio dei possidenti al tempo del 1° Regno Italico e ciambellano di Napoleone, che lo nominò cavaliere dell’Ordine della Corona di Ferro e con decreto 8 ottobre 1809 e lettere patenti 11 ottobre 1810 gli concesse il titolo di conte del regno d’Italia, titolo che rimase personale non essendo stato costituito il maggiorasco prescritto dell’art. 6° del VII Statuto Costituzionale del Regno. Ritornata l’Austria in Lombardia, con Sovrana Risoluzione 22 settembre 1817 il predetto Gian Giacomo fu confermato nell’antica nobiltà col titolo di marchese per maschi primogeniti, dopo aver rinunziato al titolo di conte conferitogli da Napoleone. Da Gian Giacomo e dalla sua consorte Beatrice Serbelloni del duca Alessandro, nacque il marchese GIORGIO TEODORO, che dalle nozze con Marianna Rinuccini, patrizia di Firenze, ebbe GIAN GIACOMO, senatore del Regno, padre dell’attuale principe LUIGI ALBERICO, avuto da sua moglie, donna Amalia Giulia Barbiano di Belgioioso d’Este.
Con R. D. motu proprio 26 giugno 1885, fu rinnovato a favore del predetto marchese Gian Giacomo, il titolo di principe di Mesocco appartenuto al ramo estinto della famiglia, di cui si è detto precedentemente, con diritto di trasmetterlo in linea e per ordine di primogenitura ai propri discendenti maschi.
La famiglia è iscritta nel Libro d’Oro della Nob. Ital. e nell’Elenco Uff. Nob. Ital. coi titoli di patrizio milanese (m.), principe di Mesocco (mpr.), marchese di Sesto Ulteriano (mpr.), signore di Corte Palasio (m.), trattamento di don e donna, in persona di LUIGI ALBERICO, n. Milano 15 febbraio 1868, f. del pr. don Gian Giacomo (senatore del regno, cav. Mauriziano, già ufficiale d’ordinanza di S. M. il Re Vittorio Emanuele II, n. 1839, † 1902); sp. Lesmo, 3 giugno 1894 con Maddalena Teresa del conte senatore Gian Luca Cavazzi della Somaglia, n. a Milano, 26 marzo 1873, dama di Palazzo di S. M. la Regina d’Italia. Figli: Marianna Giulia, n. Bellagio, 27 settembre 1895, sp. 23 maggio 1917 al marchese Annibale Brivio, del fu marchese Giacomo; GIAN GIACOMO, n. Milano, 25 ottobre 1896, spos. Torino, 3 marzo 1927 con Gemma Peruzzi.
f. f. [Francesco Forte]
Ramo dei conti di Pertusate
Antica famiglia patrizia milanese. Con Sovrana Risoluzione 30 dicembre 1817, fu riconosciuta la sua antica nobiltà ed il titolo di conte, a favore di GIUSEPPE, di Antonio, di Camillo. In tale occasione, con documenti autentici, la famiglia provò la sua discendenza legittima e diretta dal nobile GIO. ANTONIO, figlio del nobile GIO. ANGELO Triulzi (1606, 1611, 1620), il quale fu investito da Ranuccio Farnese, duca di Parma e Piacenza, del feudo di Pontenure e Ferraria in territorio piacentino, unitamente ai di lui fratelli FRANCESCO, giureconsulto collegiato di Milano e referendario delle segnature di grazia e giustizia in Roma, e GEROLAMO, trasmissibile ai loro figli e discendenti maschi legittimi con il titolo di conte, così come l’aveva posseduto il conte Teodoro Triulzi, gli antenati del quale lo avevano ricevuto dai duchi di Milano (Diploma 22 luglio 1606 inserito nell’istrumento d’investitura feudale fatta dalla Ducal Camera di Piacenza il 25 ottobre 1607 a rogito di Cesare Riva notaio camerale di Piacenza). Con successiva ordinanza del 16 giugno 1609 del presidente e dei questori della Camera di Piacenza, i predetti fratelli furono esonerati dall’obbligo assunto nella precedente investitura, di corrispondere annualmente nella festa di San Pietro una libbra di cera bianca alla Camera Ducale a titolo di ricognizione della stessa investitura. Dal conte Gio. Antonio, di Gio. Angelo, nacque il conte ANGELO (1628, 1634, 1657), che fu cavaliere dell’Ordine di S. Giacomo della Spada e dei LX Decurioni di Milano. Questi acquistò dalla R. D. Camera di Milano il feudo di Cassina Bardena e Cassinetta de’ Biraghi, nelle pieve di Corbetta, per sé e suoi figli e discendenti maschi legittimi in ordine di primogenitura e con la successione per una volta tanto in una femmina, estinguendosi la linea maschile (Investitura feudale 14 giugno 1656 ed istrumento di possesso 15 luglio 1657, entrambi rogati da Francesco Mercantolo, notaio camerale di Milano). Il feudo passò poi al figlio del conte Angelo, cioè al conte ANTONIO (1674-1637), che prestò giuramento di fedeltà a Filippo V, re di Spagna e duca di Milano (istrumento 26 settembre 1701 a rogito Gio. Antonio Serponti).
Da Antonio nacque CAMILLO (1714, 1717), che dié i natali ad altro ANTONIO (1728-1752). Figlio di quest’ultimo fu GIUSEPPE, a favore del quale fu presa la Risoluzione Sovrana del 1817. Tanto Giuseppe, quanto suo padre Antonio e suo nonno Camillo, figurano nell’elenco dei patrizi di Milano, rassegnato dal vicario di provvisione e dai conservatori degli Ordini della città di Milano con consulta del 18 settembre 1770 al Tribunale Araldico, che si conserva ms. nel R. Archivio di Stato in Milano. Soggiungeremo da ultimo che, sebbene il titolo di conte procedesse da principe straniero, tuttavia l’Austria lo riconobbe a norma del paragrafo VI dell’art. 3° dell’Editto Araldico 29 agosto 1771, sia perché non era un titolo nudo, ma era appoggiato al feudo di Pontenure e Ferraria, al quale andavano uniti beni feudali, dazi di pane, vino, carne, ecc., sia perché i Trivulzìo avevano ottemperato all’obbligo di acquistare un altro feudo nello stato di Milano. Dal predetto Giuseppe e da sua moglie Maria Medici di Seregno, discendono gli attuali rappresentanti del ramo primogenito, iscritto nell’Elenco Nob. Uff. Ital. coi titoli di conte (mpr.), signore di Cassina Bardella (mpr.), patrizio milanese (m.) e trattamento di don e donna. Essi sono: ANTONIO, di Giuseppe, di Angelo, di Giuseppe e di Maria Medici.
Sorelle: Barbara e Maria in Rovasenda.
f. f. [Francesco Forte]
TRIVULZÌO MANZONI CACCIA
Questa famiglia è un ramo della precedente. Discende precisamente da GEROLAMO, secondogenito di Angelo, figlio di quel Giuseppe che ottenne la conferma nel 1817. Questo ramo conserva il cognome Manzoni, derivante da Marianna Manzoni, moglie di Antonio e madre del predetto Giuseppe. Da Gerolamo nacque ANGELO (Milano, S. Nazaro, 8 ottobre 1859), il quale con R. D. 1 novembre 1909, fu autorizzato ad aggiungere il cognome Caccia a quello Trivulzio-Manzoni. Angelo sposò a Milano il 17 dicembre 1891, la signora Adele Pedrazzi, del fu Giovanni e morta questa ad Arosio il 10 gennaio 1894, contrasse nuovo matrimonio con Palmira Polissen (Pavone Canavese, 11 luglio 1904). Attualmente è iscritta nell’Elenco Nob. Uff. Ital. coi titoli di nobile dei conti (mf.), nobile dei signori di Cassina Bardena (mf.), patrizio milanese (m.), trattamento di don e donna, ma con istanza del febbraio 1930 ha domandato il riconoscimento del titolo di conte di Pontenure per maschi, giusta i limiti della concessione fatta alla famiglia dal duca Ranuccio Farnese. Essa è rappresentata dal predetto Angelo, da GIAN FRANCO, figlio di Angelo e di Adele Pedrazzi, n. Arosio, 19 aprile 1893, sp. Savona, 25 aprile 1928 con Maria Giuseppina Mela, del fu avv. cav. Arturo, e da Giuseppina, sorella dello stesso Angelo, n. Milano, 15 gennaio 1866. Un altro figlio di Angelo, a nome Girolamo, n. Milano, 5 dicembre 1890, morì in guerra il 18 marzo 1918 in seguito a ferita da scheggia di bombarda.
c. m. [Cesare Manaresi]
Sitografia
http://www.fondazionetrivulzio.it
http://www.treccani.it/enciclopedia/trivulzio/
http://www.treccani.it/enciclopedia/alessandro-trivulzio/
http://www.treccani.it/enciclopedia/trivulzio-gian-giacomo-detto-il-magno/
http://www.treccani.it/enciclopedia/gian-francesco-trivulzio/
http://www.treccani.it/enciclopedia/gian-giacomo-trivulzio/
http://www.treccani.it/enciclopedia/trivulzio-gian-giacomo-principe/
http://www.treccani.it/enciclopedia/gian-giacomo-teodoro-trivulzio/
http://www.verbanensia.org/biografie_details.asp?bID=30681&action=T&tipo=2