La famiglia Lupi - Le vicende belliche del 1508-1514

Da EFL - Società Storica Lombarda.

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'Gabriele Medolago, Il Castello di Cenate Sotto e la Famiglia Lupi, Amministrazione Comunale di Cenate Sotto, 2003, pp. 146-150:


All’inizio del XVI secolo, ai tempi delle guerre d’Italia la Bergamasca fu soggetta a guerre ed invasioni da parte dei Francesi e degli Spagnoli.

I Lupi, in particolare i figli del cavalier Filippo, ebbero una parte importante in queste vicende, che vengono qui riassunte, dato che seguirle per i singoli personaggi porterebbe a ripetizioni e renderebbe meno chiara la visione d’insieme.

Nel 1509 Bergamo fu occupata dai Francesi, nel 1511 venne recuperata dai Veneti e nuovamente dai Francesi, nel 1513-1514 fu occupata dagli Spagnoli e nel 1514 tornò ai Veneti. Francesco Lupi nel 1508, dopo essere stato riabilitato da una condanna per omicidio, per ordine dei Rettori di Bergamo, a proprie spese cercò di conoscere il momento in cui Lodovico XII re di Francia sarebbe giunto in Milano e li informò. Scoprì unitamente ai fratelli anche il trattato che segretamente facevano i ribelli per dare la città di Bergamo ai Francesi e né lui, né alcuno della sua famiglia si fece coinvolgere in questa cospirazione, benché con grandi promesse e persuasioni vi fossero sollecitati, anzi, con i fratelli, si presentò ai Rettori Alvise Garzoni e Francesco Venier, offrendosi di assalire e passare a fil di spada i ribelli, ma i Rettori glielo proibirono per non danneggiare la città. L’anno seguente 1509 partecipò con una grossa banda d’armati al fatto d’arme di Gera d’Adda e nella disfatta che ebbero le truppe veneziane per la discordia dei loro generali perdette cinque cavalli e fu fatto prigioniero e portato in Milano, ma poco dopo fu riscattato dai fratelli con una grossa taglia. Ritiratosi a Mestre quel che rimaneva dell’esercito veneto, egli con i fratelli a proprie spese mise in ordine 40 uomini d’arme, con i quali si presentò a Treviso da Cristoforo Moro offrendoglieli. Essendo pochi giorni dopo la rotta caduta Bergamo in mani dei Francesi, con un documento che consegnò ad Alvise Sabadino, segretario dei Capi del Consiglio dei X, propose di consegnare ai Veneziani la cittadella, per un’intesa che egli aveva con il castellano Giorgio Foia, ed una porta della città e di sollevare per mezzo dei suoi aderenti le vallate. I fratelli con molti loro uomini combatterono in Val San Martino nello stesso anno 1509.

Nel 1510 Lodovico Suardi e Clemente Vertova, inviati a Milano come ambasciatori con il consenso del governatore Pallavicino e del podestà Agostino Panigarola, proposero di cacciare al confino 40 cittadini, fra i quali Salvo Lupi. Il numero fu poi ridotto a 10 e vi fu inserito Troilo Lupi in sostituzione di Nicola Della Torre; Salvo fu uno dei dieci.

Francesco fu mandato segretamente dai Capi dei X a Milano per sapere e dare immediatamente avviso se il re di Francia fosse partito dall’Italia; vi stette un mese a sue spese ed ottenne la notizia richiesta; ma il messo a Brescia cadde in mano dei Francesi e gli fu trovata la lettera, Francesco corse gran pericolo, le sue case e beni in Bergamo furono saccheggiati e devastati ed egli, dichiarato ribelle ed essendo stata posta una taglia su di lui, dovette fuggire. Per questo anche Troilo e Girardo furono mandati prigionieri a Milano, dove rimasero 7 mesi, e per liberarsi pagarono 300 scudi ciascuno, mentre Giovanni Maria fuggì. Francesco trovò il modo di passare all’esercito veneto, nel quale servì per due anni, tenendo sempre a sue spese 20, 30 e fino a 50 uomini a cavallo e combattendo come se fosse stipendiato. Combatté valorosamente alla difesa di Padova, emulando la virtù di Lattanzio Bonghi suo concittadino. Passò con Paolo Capello di là del Po e quindi per ordine pubblico s’arrischiò a passare in Bergamasca a parlare con fratelli e parenti per concertare l’attacco di sorpresa a Bergamo e vi rimase due giorni in incognito. Dopo la sua partenza furono accusati i fratelli che dovettero pagare 100 ducati ciascuno e furono in pericolo d’essere impiccati ed un loro famiglio ebbe 6 strappate di corda, ma non disse nulla. Qualche tempo dopo Francesco mandò a Bergamo un messo e, organizzata la cosa, si presentò ai Capi del Consiglio dei X ed offrì di consegnare Bergamo, come attestava una deposizione di Tommaso Freschi. Mandò anche un messo a proprie spese agli Svizzeri per sapere come andassero colà le cose ed inviò ai Veneti numerosi avvisi importanti di Lombardia. Ordì così bene il tutto, dandone ragguaglio ai Capi, che dopo pochi mesi, soprattutto per merito dei Lupi, la città fu sorpresa e riacquistata. Il 5 febbraio 1512 Troilo Lupi e Matteo Carrara detto Cagnolo raccolsero truppe ed andarono a Bergamo, si calarono sulle mura e presero la guarnigione. A questo collaborarono attivamente anche i fratelli di Troilo: Girardo e Giovanni Maria che radunarono numerose truppe. Giovanni Maria, intesi gli ordini di Andrea Gritti provveditore generale dell’esercito veneziano, con molti dei suoi famigli ed aderenti uscì dalla città e, postosi in sella, radunata ancor più gente ed unitosi con i suoi parenti e con le altre truppe delle montagne sollecitate dagli stessi Lupi, si spinse alla volta della città che in breve fu presa. Il 15 fu proclamato sul regio che chi avesse voluto militare come fante sarebbe stato ascritto alle truppe del Carrara e di Troilo Lupi e stipendiato.

I Lupi tennero pochi giorni la città, dandosi molto da fare per sorvegliarla, unitamente alle fortezze, giorno e notte con molti uomini a loro spese, come potevano testimoniare il podestà Garzoni e Marin Zorzi Provveditore nell’anno 1509. Dopo che Gaston de la Foix, maresciallo di Francia, ebbe sconfitto entro le mura di Brescia le truppe veneziane, un grosso corpo di Francesi fu inviato a Bergamo per riconquistare la città ed i Lupi furono costretti ad abbandonarla. I Francesi dichiararono ribelle Giovanni Maria come promotore principale dell’invasione, gli confiscarono tutti i beni e saccheggiarono la sua casa. Allo stesso modo i fratelli furono banditi, i loro beni confiscati e saccheggiate le loro case, i loro poderi rovinati. Troilo, che si stava recando a parlare con Andrea Gritti, fu catturato dai Francesi e, con un altro della famiglia e molti dei più cospicui cittadini, fu confinato prigioniero nel Delfinato. Gli altri fratelli con la madre ed i figli dovettero abbandonare Bergamo e si recarono a Venezia, lungo la via furono svaligiati e spogliati dal conte Antonio di Lodron , le case in Bergamo e fuori furono saccheggiate e rovinate, vennero confiscati i beni loro e della madre e posta una taglia sulle loro persone. Giovanni Maria fu Pedrino con le truppe che aveva con sé si portò a Padova ed a proprie spese militò difendendo la città assediata e sciolto l’assedio passò a Crema dove, con parecchi servitori e cavalli, stette presso Gian Paolo da Sant’Angelo, intervenendo a tutti i fatti d’arme ed a tutte le fazioni che si verificavano. Avendo Andrea Gritti deciso di andare alla riconquista di Brescia, Francesco andò con lui, sempre senza stipendio, con la sua gente d’arme, combatté coraggiosamente e fu uno dei primi ad entrare dalla porta della città ed ebbe una gravissima ferita. Nonostante questa, per ordine del Gritti si trasferì a Bergamo per consultarsi con i fratelli, ma, essendosi affaticato troppo, la ferita si inasprì tanto che in quello stesso anno, dopo aver visto Bergamo restituita al doge, qui spirò.

Caduta nuovamente Bergamo nelle mani nemiche, i tre fratelli Girardo, Troilo e Giovan Maria con il loro seguito (sono questi i fuoriusciti ricordati da Francesco Guicciardini), andarono alla seconda presa della città portando lettere del doge ai provveditori generali al campo veneziano, avendo con sé circa 80 uomini e 10 cavalli. Il provveditore Paolo Capello ordinò loro di starsene presso il Cardinal Sedunense, che aveva condotto in aiuto della Repubblica 20˙000 Svizzeri, ed essi a proprie spese con le loro truppe si impegnarono valorosamente in tutti gli scontri fino a quando su suo ordine s’accinsero alla presa di Bergamo. Prima i Lupi andarono a conquistare il castello di Calepio ed il suo porto sull’Oglio ed in breve misero in fuga i soldati guasconi che vi erano di presidio, che fuggirono su per il Sebino, e le lance fiorentine che precipitosamente si ritirarono a Bergamo, poi, lasciato presidiato il luogo, andarono con le genti che avevano con sé al loro castello di Cenate, facendo correr voce che gli Svizzeri marciavano a prendere i passi dell’Adda e troncare la ritirata al presidio francese che era in Bergamo. Sparsasi nella notte questa voce per la città, il governatore francese mandò al castello di Cenate ad offrire ai fratelli Lupi 1˙000 ducati d’oro di entrata, alcune balestre ed altre vantaggiosissime condizioni se avessero voluto abbandonare la presa di Bergamo. Ma da essi fu tagliato a pezzi il messo, e fatto giorno, inteso che i Guasconi e le lance dei presidio a gran passi da Bergamo si ritiravano, Giovan Maria con 60 cavalli inseguì le lance fino all’Adda, delle quali altre furono ammazzate lungo la via, altre annegarono nel fiume, e poche si salvarono.

Nel frattempo il 23 febbraio, mentre a Bergamo il presidio francese era scarso ed i Bergamaschi attendevano gli avvenimenti, non facendo nulla in favore del re di Francia, verso le ore 4 di notte Maffeo Cagnolo Carrara, inviato dal provveditore Andrea Gritti con Troilo Lupi, e Bernardino Montanino, con seguaci delle montagne, arrivarono a Bergamo e trovatala quasi non presidiata, entrarono in Borgo Santa Caterina e Sant’Antonio dove non vi era custodia. Una parte andò in Borgo San Leonardo al comando del Carrara, ove furono pacificamente ricevuti. Alle ore 10 tutti armati scalarono le mura sotto le case di Pietro e Marc’Antonio Grumelli ed aprirono Porta Dipinta, per mezzo della quale, dopo aver udito le urla “Marco, Marco!”, i fanti Milanesi fuggirono in Cittadella. I montanari andando in giro per la città urlavano; “Marco, Marco, Turco, Turco!”. Nessuno usciva dalle case di città per timore. Con luce chiarissima tutti uscirono ed i montanari andarono alla cittadella e non vi trovarono nessuno, infatti i milanesi erano fuggiti per la via verso Trezzo. In tal modo liberarono le vallate di Bergamo dal pagamento di 14˙000 ducati loro imposti dai Francesi, che entro tre giorni dovevano sborsare, e non permisero che né la città, né le vallate, né la terra fossero saccheggiate.

Il Carrara fece proclamare che nessuno, di qualsiasi condizione, facesse alcuna ingiuria e che nessuno molestasse le case di alcun cittadino, infatti Venezia voleva che tutti fossero salvi. La cittadinanza tutta era stupefatta che i montanari con quei capi avessero osato entrare a Bergamo. Alcuni s’indignavano che fosse necessario obbedire ai montanari e che il Carrara come capitano e Troilo Lupi come governatore, come essi si erano proclamati, comandassero ai cittadini ed ai nobili, soprattutto perché non avevano alcuna lettera da Venezia, né titolo di dignità.

Diedero opera i detti tre fratelli Lupi per rimettere sotto il dominio veneto anche il castello che soprastà alla città, detto la Cappella, ove parte del presidio francese si era ritirato, ed esibirono al castellano M. Audet 3˙000 ducati del loro; ma egli rifiutò, onde i Lupi con la gente loro e gli altri cittadini giorno e notte sempre armati facevano le guardie alla città, e tenevano bloccato il castello, affinché la terra non fosse assalita.

Quindi di nuovo si portarono al campo veneziano, e con 450 uomini a loro proprie spese mantenuti stettero per 7 settimane all’assedio di Crema, ove valorosamente con le loro genti si comportarono, come appariva per lettere patenti dei provveditori. E presa Crema, Giovan Maria e Girardo continuarono a militare a proprie spese con 200 fanti e 10 cavalli tutta quella estate; nel frattempo Troilo andò a Brescia a presentare al provveditore 1˙500 uomini delle vallate di Bergamo, secondo il trattato che aveva conchiuso con queste e la descrizione che ne aveva fatto, queste truppe dovevano servire per una battaglia che l’esercito veneziano era in procinto di dare al nemico a Brescia.

Ritiratosi poi di nuovo a Bergamo, prestarono sempre assistenza a Bartolomeo da Mosto provveditore in ogni occorrenza, ed indussero il comandante francese del castello a consegnarlo ai Veneziani mediante una bella collana d’oro del valore di 150 ducati regalata da loro a sua moglie. Essi avevano ordine dai provveditori e dal da Mosto di promettere quanto poi fu messo in pratica. E Troilo accompagnò il castellano fino ai confini. Questa circostanza è però messa in dubbio dallo storico dottor Bortolo Belotti (1877-1944) che dice che il castellano, vedendo che non poteva più sostentarsi, decise di arrendersi.

In Val Gandino il movimento separatista, manifestatosi già sotto il dominio francese, continuò con gli spagnoli. Carlo Miani, vicegerente del provveditore veneto, l’11 giugno 1512 nominò Girardo Lupi Vicario di Val Gandino, fino a nuova decisione del Dominio, in sostituzione di Giacomo Bratello che vi si trovava a gennaio di quell’anno.

Il 19 giugno 1512 la Comunità di Borgo di Terzo ed Uniti, rivolgendosi ai Governatori di Bergamo scrisse che Fra Spagnolo di Monasterolo religioso di Santa Maria dal Lavello, Giovanni Maria Lupi, el Lupeto, il figlio di Felice Rota e molti altri compagni armati con la loro compagnia, erano andati in Val Cavallina per far prigionieri ed altri insulti con armi e schioppetti ed avevano scaricato uno schioppetto volendo uccidere alcuni di Borgo di Terzo e ne avevano feriti alcuni. Avevano altresì minacciato di saccheggiare e meter la terra a frachasso e far prigionieri.

Il 22 luglio 1512 il provveditore da Mosto entrato in Bergamo confermò i consiglieri che si trovavano prima dell’ingresso dei francesi e fra di loro Troilo. 

Il 13 agosto 1512 il provveditore Bartolomeo Da Mosto, con il Consiglio di Bergamo, confermò a Girardo il vicariato di Val Gandino, ed il 10 ottobre 1512 fu confermato podestà o vicario con giurisdizione civile di ogni somma ed in criminale anche a Gandino e Val Gandino per sé e discendenti dai provveditori generali. Il 23 ottobre 1512 dall’accampamento di Brescia Cristoforo Moro ed il cavalier Paolo Capello, provveditori generali dell’esercito, visti i meriti di Casa Lupi ed in particolare di Girardo fu cavalier Filippo Lupi, confermarono la creazione a podestà e vicario di Val Gandino fatta dal provveditore Da Mosto con deputazione del Consiglio di Bergamo il 13 agosto e la deputazione della Valle Gandino del 10 ottobre. Fu quindi nominato podestà o vicario della Val Gandino con concessione feudale di contea per lui e discendenti, con la giurisdizione di ogni somma civile e criminale, tranne quella di poter far sangue. Egli aveva perseverato nella fedeltà a Venezia tutto il tempo delle guerre. Aveva sollevato non solo la Val Gandino ma anche altre zone, al primo riacquisto della città unitamente ai fratelli aveva fatto sollevare tutte le Valli in nome di Venezia e si era portato alla città, pagando anche a sue spese il suo seguito ed aveva validamente aiutato la riconquista della città. Quando erano tornati i Francesi egli aveva lasciato la casa con madre, fratelli e famiglia; essa era stata saccheggiata e gli erano stati rubati beni per una somma cospicua. Egli inoltre con i fratelli era andato alla riconquista della Val Gandino ed al riacquisto di Crema con 450 persone pagandole lui, servì con 10 cavalli per un mese a sue spese e portato 200 uomini di Val Gandino e Clusone e stava ancora continuando a militare. Aveva messo a rischio la propria vita e quella dei fratelli. Aveva altresì riacquistato una seconda volta la città.

Nell’ottobre 1512 il Da Mosto ed il Lippomani informarono la Signoria che a Bergamo si stava trattando per la Cappella. Il castellano era disposto a cederla, purché fossero salve le persone ed i beni, poter tornare in Francia e che fosse posto in luogo sicuro ed altre piccole cose. A nome del dominio trattarono Luca Brembati e Troilo Lupi. Il castellano voleva la conferma dei provveditori di campo e che il giorno successivo alle ore 20 si sarebbe avuta risposta. Il 28 ottobre 1512 il guascone Odetto Causans castellano e capitano per il re di Francia alla Capella, sapendo che il fratello Francesco castellano di Lecco si era dato a Bartolomeo Ferrerio a nome dei milanesi, e vedendosi in pericolo, rilasciò Francesco Bellafini, Federico Rivola e Stefano Vianova, che teneva prigionieri, per trattare la dedizione con il provveditore di Bergamo. Fu posta come condizione che il castellano, i commilitoni e tutta la famiglia e beni fossero salvi. Con Ducale del 31 ottobre 1512 venne confermata la capitolazione del castellano Odetto Causans a richiesta di Troilo Lupi a nome dei provveditori veneti. La capitolazione fu portata ai provveditori da lui. Il 31 ottobre la Signoria scrisse al provveditore della città lodando l’opera del Brembati e di Troilo, confermando i capitoli della resa, a conclusione del lungo assedio. Il tutto fu approvato dai provveditori generali dell’esercito veneto presso Brescia e quindi domenica 31 ottobre si proclamò sul regio che nessuno danneggiasse i francesi ed accompagnati da Luca Brembati, Troilo ed altri, il castellano e la sua familia, consegnata la Capella a Carlo Miani, andò nella città di Bergamo dove rimase sino a domenica 21 novembre, quando accompagnato da Luca Brembati, Francesco Bellafini, Troilo Lupi ed altri, si allontanò con i suoi fanti ed andò verso Lecco, con un salvacondotto di Matteo Cardinal Legato apostolico ed Ottaviano Maria Sforza vescovo di Lodi (1512-1519), governatore di Milano. Lo stesso giorno venne a Bergamo il conestabile Gerolamo con 140 fanti, dagli accampamenti di Venezia per custodire la Capella. Il 10 novembre 1512 da Desenzano i provveditori scrissero una lettera con la quale scrissero che il latore della stessa era un soldato militante sotto il conte Alessandro Donato, capo di cavalli leggieri veneti, il quale era in precedenza stato pieggio dei gentiluomini Lupi per certa lana. Sembrava che i creditori volessero costringerlo a pagare la suddetta lana, venne quindi ordinato di dargli sicurtà essendo soldato, e di far si che detti creditori costringessero i principali debitori, cioè i Lupi e non il soldato. Il 14 la lettera fu presentata al provveditore da Dario Mapelli a nome di Giovan Andrea da Orio, stipendiato del Donato, il quale è evidentemente la persona interessata a chiederne l’esecuzione.

Nel giugno del seguente 1513 cioè un anno dopo che fu restituito Bergamo dai fratelli Giovanni Antonio, Gherardo, Troilo, Giovanni Maria a Venezia, essendo l’esercito spagnolo nel territorio di Bergamo e la città sprovvista di denaro e rifornimenti, i cittadini furono costretti a cedere alle offerte fatte per parte del Cardona, generale degli Spagnoli, arrendendosi a lui. Il provveditore da Mosto con i tre fratelli Lupi con i figli ed altri marcheschi si chiuse nella Cappella per non esser preda dei nemici. Frattanto il governatore spagnolo pose una taglia alla città di 3˙200 ducati; se ne erano già riscossi da 6˙000, quando avvisato di ciò il Renzo di Ceri che in Crema comandava le truppe veneziane, e concertata la cosa con quelli che si trovavano nel castello di Bergamo, la notte del 14 luglio con 600 cavalli ed alcuni fanti si portò segretissimamente a Bergamo, ed aiutato da quelli del castello, in particolare dai fratelli Lupi, scalò le mura, ed introdottosi in città andò alla casa ove il governatore e commissario spagnoli si trovavano, e con ardire loro tolse il denaro che era stato esatto e subito tornò a Brescia, e li tre fratelli lieti rientrarono nel castello. Adescati del felice successo di questa impresa facevano continue sortite contro dei Spagnoli, i quali ripresero ad esiger la taglia, e già buona parte esatta l’avevano, quando il di Ceri il 6 agosto venne a Bergamo con 300 cavalli e 500 fanti, e sorprese le guardie, entrò valorosamente e saccheggiata la casa ove i comandanti spagnoli alloggiavano. Il giorno seguente si pose, aiutato dai fratelli Lupi, che, usciti dal castello con il provveditore da Mosto, a lui s’unirono, ad espugnar la rocca ove il governatore ed il commissario spagnoli s’erano ritirati; e fortemente combattendola in breve tempo l’ebbe, e fatti prigionieri il governatore Ribadeneira ed il commissario Spug, o Puzzo, con i soldati che avevano con loro, ed avute parecchie migliaia di ducati che avevano esatto, il di Ceri li portò a Crema. Lodando il valore ed il servizio dei tre fratelli prestatogli in quell’impresa, raccomandò al provveditore da Mosto e ad essi la difesa della città. Appena gli Spagnoli ebbero notizia di aver perduto Bergamo, inviarono subito da Milano Silvio Savelli e Cesare Feramosca con circa 3˙000 uomini tra cavalli e fanti, i quali giunti a Bergamo s’accamparono fuori Borgo Sant’Antonio, alla custodia della qual porta fu posto il Troilo, che valorosamente la difese, respingendo tutti gli assalti e facendo sortite, uccidendo molti nemici e recando loro molti danni. Alla fine con una grande sortita furono costretti a fuggire ed abbandonare l’assedio lasciando molti sul campo.

I fratelli Lupi s’adoperarono per trovar danaro per la Signoria, e dieder opera che per mezzo di loro sorella Damoisella, suo marito Ottaviano Vimercati, prestasse ai provveditori Ciuran e Contarini molte migliaia di ducati, e Troilo e Giovanni Maria portarono 2˙000 ducati in Crema, unitamente a molte vettovaglie. Si diedero da fare anche con l’altra loro sorella badessa a Crema che d’ordine del Ciuran due volte con gran pericolo trattò con il Crivelli e monsignor Durazzo e fece uccidere Gerolamo da Napoli e promesse 200 ducati del loro al cuoco del Crivelli e tutto ebbe effetto. La sorella ed il cognato diedero ai provveditori Ciuran e Bartolomeo Contarini ed a Venezia a Francesco Contarini 6˙000 o 7˙000 ducati oltre ai già mandati 2˙000 per Crema. Per quest’ultimi servigi prestati alla Signoria, Prospero Colonna, che comandava in Bergamo, adirato fece spianare le case loro in Bergamo.

Resisi. sempre più noti il valore e la giudiziosa condotta del Troilo, il da Ceri lo chiamò a Crema, ove con molti dei suoi si portò e stette 32 mesi impiegato sempre nelle più difficili imprese. Più volte fu mandato per interessi gravissimi a Piacenza, ed intervenne al fatto d’armi di Calcinate nel contado di Bergamo, celebre per la presa che ivi si fece Cesare Fieramosca, famoso condottiere di quei tempi. Il Lupi non si preoccupò di peste, fame e pericoli, sino all’ultima impresa di Bergamo.

Giovan Maria fu Filippo se n’andò a Padova con 10 cavalli a sue spese, e qui si trattenne durante l’assedio servendo in tanto al conte di Pitigliano da prode e valoroso soldato. Liberata Padova dall’assedio, si trovò a tutte le fazioni che accaddero fino alla giornata di Vicenza, ove per la sconsideratezza di Bartolomeo d’Alviano generale dei Veneziani, ebbero questi quella gran rotta, nella qual battaglia, portandosi Giovan Maria da coraggioso capitano, perdette 5 o 6 buoni cavalli che rimasero uccisi, ed egli fu preso prigioniero, correndo pericolo di essere giustiziato come ribelle, se come non fosse riuscito a fuggire dei nemici, e ritirarsi in Mantova. Quindi avvisato da Troilo suo fratello che era in Crema, con Gherardo si portarono in incognito nel territorio Bergamasco e con sagacità e spesa riuscirono in più volte a mandare 600 some di vino ed altre vettovaglie in Crema. Per tutte queste imprese Prospero Colonna saccheggiò ai fratelli tutti i poderi e le case, confiscò i beni e li bandì con grossa taglia sulle loro persone. I Lupi quindi furono costretti a ritirarsi di nuovo a Mantova, ove raccolsero truppe per la terza presa di Bergamo. Mentre Giovanni Maria faceva la scorta ad una grossa truppa di fanti che a quell’impresa si conducevano, a Castenedolo fu sconfitto dagli Spagnoli e fatto di nuovo prigioniero, ma riuscì a fuggire in giubbone, ed a porsi in salvo in Mantova. Qui fu inviato ad accompagnare due capi degli Svizzeri con Cosimo mandato dal capitano generale, con Giovanni Francesco del Duco ed Orfeo Boni, con denaro a tutti i passi e per le montagne del Bresciano e Bergamasco a lui ben noti a sollevare, e tener in fedeltà dei Veneziani quelle popolazioni; e fin a tanto che l’esercito veneziano stette di là dall’Adige, militò con il fratello Girardo sempre a loro spese, prestando gran servigi, come attestò con lettere Bartolomeo d’Alviano alla Signoria.

Nell’ottobre 1514 il di Ceri, Troilo e Giovanni Maria fu Pedrino si portarono con altri capitani da Crema alla terza presa di Bergamo, cacciandone gli Spagnoli. Furono poi fra coloro che resistettero per molti giorni, sino alla capitolazione, all’assedio posto dal Cardona. Troilo tornò a Crema con il di Ceri, mentre Giovanni Maria fu fatto prigioniero e mandato nel castello di Brescia, e per liberarsi dovette pagare 500 ducati; quindi si portò di nuovo a Crema a servizio della Signoria. Per questo fu dichiarato ribelle anche dagli Spagnoli e tutti i suoi beni furono confiscati. Egli però continuò a servir sempre in quelle guerre, e mori al servizio dei Veneziani.

Troilo, Girardo e Giovanni Maria fratelli e Giovanni Antonio nipote in una supplica al doge esposero come loro ed i progenitori avevano servito per 95 anni la Serenissima, in tutte le guerre e che erano morti 22 della loro famiglia fra i quali due squartati a Milano quando fu preso l’avo di Giorgio Corner e quando fu preso Girardo Dandolo allora provveditori di Campo. Esposero anche che per far quanto avevan fatto durante la precedente guerra avevano dovuto vendere molte possessioni, come pure loro madre ed erano rimasti “disfatti e rovinati”. Ricordarono poi i loro meriti e le azioni in favore di Venezia e di aver preferito lasciar casa, piuttosto che restar sotto il giogo dei nemici. Chiesero quindi di venir creati conti di Val Gandino, costituendola in comitato e feudo nobile per loro ed i loro eredi e discendenti legittimi, dalla quale avrebbero avuto un’entrata di circa 140 ducati ciascuno. Con parte presa in Pregadi il 31 marzo 1515 e con conseguente Ducale 2 aprile 1515 del doge Leonardo Loredan ottennero la concessine, qualora Bergamo fosse stata riconquistata, una contribuzione di 100 ducati annui ciascuno per un totale di 400, estratti dalla limitazione della Val Gandino assegnata alla Camera di Bergamo.

Con Ducale del 9 novembre 1515 Girardo, eletto dal provveditore di Bergamo con l’accordo della città, vicario della Val Gandino, con il consenso degli uomini, venne confermato dal doge per i suoi meriti.