Lallio e le origini

Da EFL - Società Storica Lombarda.

di Gian Paolo Agliardi

La famiglia Lallio è piuttosto misteriosa: è segnalata come importante da Menant [1]. Vari personaggi di essa sono citati da C. Marchi e T. Rota in Lallio e la sua storia [2]. Arveno Sala e Jarnut segnalano Rotari e Teutaldo Lallio presenti nel 1026 al placito a Grumello [3] e così anche G. M. Petrò che li dice numerosi [4]. Essi avevano un “torresin” in Bergamo alta [5].

Viceversa è poco citata da Belotti ed altre consuete fonti. L’identificazione della famiglia è anche complicata dalla difficoltà di distinguere tra i Lallio feudatari e quelli così definiti per semplice provenienza. Nella citata storia di Lallio non troviamo chiari riferimenti a un feudo, né a un’importante famiglia feudale: però segnala la presenza di beni vescovili.

Nell’Archivio Agliardi sono pochi gli Ayardi indicati come Capitani de Lallio o del Aglio.

Menant segnala l’importanza della cosiddetta “Genealogia d’Astino” [6], pur facendo le dovute riserve per distinguere i dati veritieri da quelli inquinati da incredibili invenzioni d’abbellimento, da errori sui nomi - anche quello d’un Re inesistente, forse un margravio promosso dai compilatori del documento - e da contraddizioni sulla fondazione delle famiglie. Infatti anche per i Lallio come per i Terzi e i Martinengo, c’erano già famiglie ben radicate. Il documento nella versione corrente a Bergamo risulta tradotto da Alemanio Fino ed è citata anche da Donato Calvi [7], ma mutilata di dati importanti.

Le riserve di Menant sul misterioso documento sono state espresse anche da altri storici tra cui lo stesso Mons. Paolo Guerrini (autore della storia dei Martinengo dove risulta la chiara stesura latina del testo) [8] pur distinguendo anch’essi notizie interessanti mescolate a fantasiose addizioni di gusto ridicolmente aulico.

Menant si domanda a quale invasione ungarica si riferisca il documento; ha ragione, perché non si trattò di un invasione. Sembra domandarselo anche Mons. Guerrini, e me lo domandai anch’io, la prima volta che affrontai il documento nella versione 1684 del nostro archivio.

Nei trenta e più anni dal mio primo impatto col misterioso testo, mi ritrovavo ogni tanto bersagliato da una serie di indizi, riferiti al contesto storico che si è via via arricchito di nuovi dati e alla lettura del documento nella ben più completa e credibile versione latina [9]. Veniva così stuzzicata periodicamente la mia curiosità, al punto da indurmi a formulare un’ipotesi che sembra credibile, anche se il rev. Paolo Guerrini era stupito che tante ed importanti famiglie provenissero da un’unica fonte.

L’ipotesi è che si tratti di una pagina sbiadita del conflitto tra Arduino ed Enrico II e i suoi alleati, i Vescovi di Brescia e Bergamo - salvo per quest’ultima l’ostilità del Vescovo Reginfredo (996-1013); di costui, nel 1013 (appena dopo la sua morte), si lamenterà l’arcidiacono Teuderolfo de Terzi [10].

È noto che Enrico II era molto impegnato a domare non solo Arduino in Italia, ma anche i feudatari ribelli in Germania e altre invasioni, ed era aiutato, anche militarmente, da suo cognato [11] Stefano Re d’Ungheria e quindi di Pannonia.

Le resistenze di Arduino non si erano sopite nemmeno dopo la sua sconfitta con la discesa imperiale nel 1004; è quindi possibile che occorresse l’invio ai Vescovi di rinforzi imperiali, magari pannonici nel 1007 e accompagnati come fiduciario “interprete” da Longofredo, che dal documento risulterebbe sposato con Honesta della famiglia Camposampiero, anch’essa - guarda caso - discesa in Italia in quegli anni al seguito dell’imperatore e poi stabilitasi nella Marca Trevigiana [12]; sempre secondo il documento, Longofredo si sarebbe convertito al Cristianesimo per amore della consorte; non è quindi da escludere che fosse utilizzato per i contatti che vi erano in quegli anni con la Curia romana, con i Vescovi fedeli all’impero e con i Monasteri per conto di Stefano o di Enrico, entrambi ferventi Cristiani, cognati e anche Santi.

La strana data del 1007 trova conferma nella notizia relativa a un analogo viaggio militare fatto in quell’anno in Italia nel seguito imperiale da Obizzo degli Obizzi, guerriero e capostipite dell’omonima famiglia [13].

Nel 1007 Pietro vescovo d’Asti che era un irriducibile partigiano del marchese Arduino d’Ivrea, venne perciò deposto da Enrico II e sostituito con Alrico, fratello del marchese di Torino Olderico Manfredi. Sempre nel 1007 viene fondata l’Abbazia di San Benedetto Po.

Il punto più critico del documento sta nell’affermazione secondo cui si dicono fondate dai tre figli di Longofredo, dopo il 1007, famiglie che invece esistevano già ed erano importanti.

Qui si può azzardare l’ipotesi che si tratti piuttosto di un inserimento, mediante matrimoni favoriti dalla curia bergamasca, di questi giovanotti nei “clan famiglie”preesistenti, come evidenti pedine imperiali lasciate a presidiare la strategicamente importante valle Cavallina.

La rarità degli atti notarili per eventi minori e l’uso non ancora consolidato dei cognomi ci priva di possibili conferme.

Forse ciò può essere avvenuto dopo l’insediamento nel 1013 del vescovo Alcherio, non più filo-Arduino come il suo predecessore Reginfredo: egli fu favorito innanzitutto dall’Imperatore, con la chiusura della vertenza per le corti di Almenno, Lecco, Brivio e Lavello, che furono assegnate ai vescovi di Bergamo, e poi dalla probabile presenza nella curia bergomense sin da allora del rev.do Ambrogio II di Lanfranco Martinengo, che nel 1023 divenne potente vescovo di Bergamo, in ottimi rapporti con Enrico II, che andrà infatti a visitare in Germania poco prima che questi morisse.

La presenza di persone fidate inserite in famiglie ben radicate era di evidente interesse imperiale, ma anche di interesse dei Vescovi suoi alleati, specialmente in Val Cavallina; era un interesse anche reciproco, come potenziamento delle famiglie “sponsor”.

La politica nuziale, come pacificatrice alleanza con importanti famiglie del posto, era molto praticata e nel documento d’Astino è ben documentata a proposito di Flos-de-monte, figlia di Longofredo, sorella dei tre.

C’è anche un interessante parallelismo tra l’importanza dei reverendi “sponsorizzatori” e le fortune dei loro protetti. Così ad Ambrogio II di Lanfranco Martinengo, che nel 1023 fu vescovo di Bergamo, corrisponde la sempre maggior importanza dei discendenti di Leopardo; all’arcidiacono Teuderolfo de Terzi il solido radicamento dei Terzi [14]; privi i Lallio di un evidente “sponsor” sembra che un po’ meno successo avessero i successori di Jgeforte, che risulta immesso in quella misteriosa famiglia detta anche dell’Aleo con un feudo piuttosto piccolo e vago, malgrado i prestigiosi benefici che risulterebbero loro attribuiti nella “genealogia d’Astino”, ma solo li. Forse per il successivo smembramento della famiglia, dai Lalio sarebbero poi germogliate le famiglie Ayardi e Adelasio [15].

È inoltre possibile che i tre fratelli, oltre che delle eventuali mogli, venissero anche dotati di sub-infeudamenti vescovili. Cosa evidentissima per i numerosi feudi vescovili in val Calepio, ma soprattutto nel bresciano, assegnati nei secoli successivi ai Martinengo.

Il collegamento tra i nomi Lallio e Agliardi in Menant non risulta, ovviamente, anche perché esula dal tema. Fu invece evidenziato da antichi storici bergamaschi tra i quali il citato Donato Calvi, derivandolo presumibilmente da tradizioni orali e poi si sarebbe evidenziato solo verso fine XII sec. Cito alcuni documenti che sembrano convalidarlo e chiarire il contesto:

• Il Camozzi, nello stemmario, lo dà per scontato, anche per le evidenti analogie dei ciuffi d’aglio nei rispettivi stemmi.

• un Alexander Ayardi dall’Aglio, teste in un atto dell’11 luglio 1193, di cui però risulta solo l’omonimia, ma non documenti che lo colleghino alla famiglia che allora o poco dopo era detta Ayardi de la Vinea de Verdello.

• Ayardo doveva essere un nome proprio, diventato poi cognome, e compare come nome di un personaggio dei da Sovere nel 1200. Il nome dell’Allio, dal gran pettegolo Nassino (Brescia 1517), fu stranamente attributo come antico dei Martinengo, forse per spregio; comunque non può esserselo inventato [16].

• I cognomi sia Lallio che Agliardi furono storpiati in vari modi (anche De Lay)[17] e per i nostri antenati anche in tempi relativamente recenti. Come accennato è anche facile confondere i Lallio capitani di con i Lallio provenienti da.

• In un primo documento genealogico del 1175 risulta un Ayardi de capitani di Lallio; nei successivi, in ben sei è abbinato agli Adelaxi (Adelasio), in uno indicandoli addirittura come fratelli; ciò agli inizi del 1200 e poi non più.

• Due Ayardi, come gastaldi dei Vescovi, all’inizio del 1200 gestirono le vescovili miniere d’argento di Ardesio, già dei Martinengo.

• Un Ayardi, questo senza collegamenti documentati, fu in quegli anni abate del Monastero di Vall’Alta, non lontano da Mologno.

Per quanto riguarda le costruzioni di torri e castelli, che sono enfatizzate nella “genealogia d’Astino”, si può ipotizzare trattarsi piuttosto di restauri di edifici abbandonati perchè danneggiati delle guerre. Ciò può essere solo ipotizzabile per Mologno [18] e per i Terzi, ma trova precisa conferma e quindi credibilità per i Martinengo, se la si riferisce a quanto avvenuto loro sin da prima del 1007 come domini di Ghisalba e dopo con le edificazioni in val Calepio [19], ma soprattutto con gli infeudamenti in diocesi bresciana, grazie ad appoggi vescovili - il vescovo Manfredo (1134-54) era probabilmente un Martinengo - cui accenna la “genealogia d’Astino”. Va sottolineato che il documento venne redatto più di duecento anni dopo e quindi non fotografa un preciso momento, ma una serie di eventi dilazionati nel tempo, molti dei quali hanno precisi riscontri come anche per le famiglie dei Camposampietro (tuttora esistente), Franchigene Massano e Camisano, Malaspina e Pallavicino.

NOTE

[1] - François Menant, Dai Longobardi agli esordi del Comune, in AA.VV., Storia economica e sociale di Bergamo – I Primi millenni.* Dalla Preistoria al Medioevo, Bergamo, Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo. Istituto di Studi e Ricerche, 2007, vol. II, pp. 724-725. Lo studioso dispone di fonti archivistiche per il lignaggio dei Lallio.

[2] - CORRADO MARCHI, TARCISIO ROTA, Lallio e la sua storia, Lallio, 1995. [Pubbl. anche nel sito http://www.ideaperlallio.it/storia.htm]

[3] - JORG JARNUT Bergamo 568 – 1098 pp. 48-49, Plac 324 1026 / 30 …Rotari Lallio Teutaldo Lallio per Chiesa di Bergamo - St Martin de Tours Permuta.

[4] - Comunicazione verbale.

[5] - AA.VV., Le mura di Bergamo, Bergamo, Azienda Autonoma di Turismo, 1977, pp. 260-1. L’ubicazione, presso lo Spalto di S. Giacomo, viene data come incerta.

[6] - Secondo tale documento, dai tre figli di un certo Longofredo, giunto in Lombardia dalla Pannonia nel 1007, sarebbero discese le tre importanti famiglie dei “capitani de Lalio”, dei Martinengo e dei Terzi.

[7] - DONATO CALVI, Effemeride sagro profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo sua diocese et territorio, da suoi principij fin’ al corrente anno, Milano, Vigone, 1676, vol. II, p. 239. Citato in CORRADO MARCHI, TARCISIO ROTA, Lallio e la sua storia, Lallio, 1995, p. 19.

[8] - PAOLO GUERRINI, I conti di Martinengo. Studi e ricerche genealogiche. Brescia, Tipolitografia F.lli Geroldi, 1930, pp. 47-48.

[9] - Ibidem. Il documento fu autenticato da 5 notai il 12 febbraio 1467 per Antonio Martinengo.

[10] - Arcidiacono Teoderolfo (o Teopaldo?) dei Terzi (1016). “Certo è che fino dall’anno 1016 in documenti dell’archivio della Cattedrale di Bergamo, è ricordato TEODEROLFO, arcidiacono della Chiesa di Bergamo e figlio di quondam Arnoldo del luogo di Tertio o di Terzo. Pertanto già prima del mille e prima di Enrico II, viveva a Terzo, ARNOLDO, padre di TEODEROLFO, e doveva essere potente se suo figlio giunse al grado di arcidiacono, ossia di amministratore della Diocesi” (VITTORIO SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, 1932, vol. VI, pp. 577-578). La voce è a cura di Mons. Giuseppe Locatelli).

[11] - Stefano il Santo re d’Ungheria aveva sposato Gisella di Baviera sorella di Enrico II.

[12] - Capostipite della famiglia Camposampiero risulta essere un certo Tiso, “cavaliere oriundo dalla Vestfalia, vassallo di Enrico Duca dì Baviera (993) e venuto in Italia al seguito del figlio di costui, l’imperatore di Germania Enrico II dal quale fu infeudato (1013)” (Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, edizione XXIII, 2005-2009, Roma, Collegio Araldico, 2005, p. 273). La notizia è alquanto importante, perché offre elementi di conferma alla veridicità sostanziale del documento di Astino. Difficilmente i Camposampiero nella Marca Trevigiana, o a Padova dove poi si trasferirono, ne potevano infatti conoscere il contenuto.

[13] - Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_del_Catajo, dove si dice che “la famiglia Obizzi, di origine borgognona giunse in Italia con il capostipite Obicio I, capitano di ventura al seguito dell'imperatore Arrigo II, nel 1007. Stabilitasi inizialmente a Lucca, si spostò in seguito nel territorio della Repubblica di Venezia”, dove costruì il famoso castello del Catajo.

[14] - FRANÇOIS MENANT, Dai Longobardi agli esordi del Comune, in A.A .VV., Storia economica e sociale di Bergamo – I Primi millenni.**, p. 47. Il nome di famiglia nato da un antenato comune è il distintivo che permette di identificare i membri di un medesimo complesso familiare…. allorché un ramo comincia a separarsi dal tronco principale accosta al nome dell’antenato comune quello del suo proprio capostipite che finisce per eclissare il primo.

[15] - Risulta che nel medioevo in Città Alta la torre degli Adelasi (Pc 525) fosse vicina al torresino dei Lallio (UI. 521) e prossime a quella di Rosate.(524)

[16] - FAUSTO LECHI. Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, Brescia, Edizioni di storia bresciana, 1983, Vol. 4 “Il Cinquecento nel Territorio”, Appendice, p. 444: “Martinenghi: questa casa antiquamente lo suo cognome era dell’Alio et fo et dicesi che veneno de Martinengo et chi de Gisalba terre bergamasche […]”. In nota, il Lechi commentava: “Sui Martinengo, che non gli dovevano andare a genio, il Nassino lascia trapelare l’incertezza delle origini; se potevano o no discendere dagli antichi conti di Martinengo, illustre famiglia bergamasca nell’Alto medio evo. Quel cognome «dell’Alio» buttato lì, come a caso, induce nel dubbio”.

[17] - Che in bergamasco significa dell’aglio.

[18] - Mologno - di cui esiste il rilievo delle fondazioni - sarebbe l’epicentro da cui si sarebbero poi allontanati e irradiati (forse scacciati dai potenti Suardi) gli Ayardi: il ramo principale verso Bergamo e dintorni, gli altri verso Sovere, Costa Volpino, il bresciano, il Trentino e la Germania.

[19] - JÖRG JARNUT. Collocazione storica del Palazzetto di Calepio, estratto da “Bergomum”, Bollettino della Biblioteca Civica di Bergamo, 1974, n. 3-4; LUIGI CHIODI. Del misterioso “ Palazzetto” di Calepio, estratto da “Bergomum”, Bollettino della Biblioteca Civica di Bergamo, 1971, n. 4.

[20] - VITTORIO SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, 1932, vol. II, p. 262. Famiglia antichissima di legge Salica nota nella storia della Marca Trevigiana dal 1064 infeudata da Corrado il Salico nella Terra di Roncaglia entrata poi a far parte della nobiltà Padovana.

Antico stemma Agliardi (Stemmario Camozzi n. 0011)
Stemma dei Lalio (Stemmario Camozzi n. 0011)
Stemma degli Adelasi (Stemmario Camozzi n. 2312)